Nella polemica di questi giorni riguardante le mascherine nelle aule scolastiche, vedo dalla stampa che il ministro Speranza, contrario a toglierle, dice: “sono valutazioni che deve fare la comunità scientifica”. E’ un’affermazione simile ad altre dello stesso tenore come “ce lo chiede l’Europa” e a quella ancor più definitiva “non c’è altra soluzione possibile”.
Queste affermazioni sono il sintomo, se non della morte, almeno di una grave malattia della politica. Compito della politica, infatti, è proprio la capacità di prendere decisioni per sostenere e migliorare la vita dei cittadini: utilizzando, certo, le competenze presenti nella comunità scientifica così come nelle diverse organizzazioni di rappresentanza economiche, sindacali etc., ma senza inversione di ruoli.
Dallo scoppio della pandemia questa inversione dei ruoli è stata del tutto evidente dato che il tono della risposta al virus è stato dettato per mesi dalle apparizioni televisive di scienziati (peraltro non sempre d’accordo tra di loro) mentre i politici, e segnatamente il ministro competente, apparivano al traino di questi.
Si tratta di un fenomeno che va di là del periodo covid. Negli ultimi anni abbiamo assistito a provvedimenti legislativi caratterizzati dal tentativo di accentrare la maggior parte delle decisioni politiche per ridurre la frammentazione dei centri decisionali.
Così si è tentato di cancellare le province anche se l’unico risltato ottenuto è stato quello di sottrarle al popolo elettore; si sono ridotti il numero di consiglieri e assessori dei comuni mentre l’elezione diretta dei sindaci – scelta positiva e utile – è stata pagata da uno svuotamento del ruolo dei consigli comunali, vale a dire del luogo principalmente dedicato al confronto e al controllo delle decisioni di chi governa.
Ultima, ma non meno grave, la riduzione del numero dei parlamentari, anche questa modifica costituzionale portata avanti “a furor di popolo” da campagne di stampa e dal movimento Cinque stelle, il raggruppamento politico che ha tesaurizzato tutto il livore contro la politica seminato per un ventennio da prestigiose cattedre televisive e giornalistiche.
Non c’è dubbio che il sistema istituzionale italiano abbia bisogno di una manutenzione straordinaria.
Il problema è che il principale soggetto di queste riforme dovrebbe essere il popolo, il quale, invece, è costantemente escluso dal formarsi delle decisioni che lo riguardano per cui di conseguenza reagisce anche affidandosi a improvvisati tribuni. La doppia bocciatura di riforme costituzionali complesse tentate sia dal centrodestra sia dal centrosinistra è figlia proprio di un non adeguato coinvolgimento popolare . Anche più grave appare il costante aumento dell’astensionismo elettorale.
In questa situazione la soluzione, trovata dal Presidente della Repubblica, di affidare il governo a un tecnico di alto prestigio internazionale come Mario Draghi, accompagnandolo da una larga maggioranza parlamentare, appare ancora oggi come una soluzione realistica: tuttavia non può che essere considerata una condizione transitoria, di supplenza, giustificata ,se si vuole, da emergenze che tuttavia non possono essere infinite.
La sovranità appartiene al popolo, recita la costituzione, ed è al popolo italiano che, ormai a scadenza non lontana, dovrà tornare , con le elezioni, la scelta del prossimo governo .
Qui nasce un problema serio dato che l’attuale situazione parlamentare è figlia del successo ottenuto dal M5S alle ultime elezioni che gli ha dato una forte maggioranza relativa nelle camere: abbiamo visto quali pericoli comporta il governo di un movimento che ha come principale programma il rifiuto di tutto quello che è stato fatto fino al suo avvento.
La storia – o forse meglio la cronaca – si è già incaricata di demolire l’avventura governativa dei seguaci di Grillo le cui performances governative hanno fatto danni duraturi al tessuto sociale ed economico del paese. Tuttavia, mentre ci apprestiamo a constatare l’eclisse parlamentare del movimento, non possiamo dimenticare i milioni di elettori che li hanno portati dentro le istituzioni e che non scompaiono.
In altri termini è importante non dimenticare che il malessere che ha dato il successo ai Cinque Stelle non scompare con il movimento. La tendenza, cui accennavo, a una sempre maggiore centralizzazione delle decisioni trova giustificazioni autorevoli nel timore di nuove pericolose ondate populistiche così che molti auspicano una democrazia guidata: dalle intelligenze scientifiche, economiche, istituzionali.
Penso che sia necessaria la strada opposta, quella dell’allargamento del dibattito e della partecipazione: senza una reale partecipazione (e educazione sociale) del popolo alle scelte che lo riguardano diventa difficile una condivisione dei motivi della convivenza civile, ne soffre la democrazia.
Se il Parlamento optasse per una legge elettorale proporzionale (meglio se con le preferenze) questa potrebbe essere l’occasione per rompere gli schemi di partiti e movimenti personalizzati e chiusi all’ascolto di posizioni diverse e riaprire luoghi e spazi di confronto reale sulle questioni di interesse comune , in altri termini riaprire spazi alla democrazia, riaprire spazi per fare politica.
E’ una tendenza pericolosa per la democrazia quella per cui ci sono alcuni “illuminati” che sanno sempre qual è la cosa giusta da fare e agli altri non resta solo la scelta di adeguarsi.